Domanda: Prima hai detto che bisogna vedere le illusioni, vedere il condizionamento che c’è. Io non sono riuscita ancora ad arrivare alla radice della paura, il condizionamento che ancora mi lega.
Bruno:C’è una paura biologica, che tutti possono avere davanti ad un burrone, davanti ad un serpente, che è un attimo e finisce. La paura biologica c’è perché l’organismo è a rischio di fronte a certe circostanze e la sua memoria lo sa e la paura è la sua protezione. E c’è una paura di fondo, per cui vi faccio una domandina semplice. Perché molti di noi hanno sempre paura ? Perché abbiamo timore che le cose ci girino male, delle considerazioni degli altri, di fallire, di qualsiasi cosa? Queste paure, guardate bene, da dove vengono? Dalla mia persona che vuol fare sempre bella figura. Vuole risolvere, essere capace, dimostrare. Se voi non dovete dimostrare niente a nessuno, il 90% delle paure se ne andrà via. Cosa avete da dimostrare? A chi avete qualcosa da dimostrare? Che cosa vi importa di dimostrare qualcosa a qualcuno? Che cosa vi interessa? Perché dovete sempre apparire come bravi di fronte agli altri, come migliori di qualcun altro? Perché? E’ questa spinta di fondo a voler emergere che crea la paura. Noi non siamo sicuri di farcela, non siamo sicuri di poter essere garantiti, non siamo sicuri di poter perpetuare questa eventuale possibilità e quindi arriva il senso del timore. Perché non fate ciò che dovete fare. Il che significa che non partite dal presupposto che dovete dimostrare. Fate quello che dovete fare e quello che viene fuori viene fuori, punto.
D.: Io ho paura di guidare la macchina.
B.: Hai paura di morire?
D.: E’ l’unica paura che ho.
B.: in questo caso devi fare tanti incidenti in modo che ti passi la paura.
…risate….
B.: Se la smettete di dover dimostrare agli altri e anche a voi stessi ciò che state facendo, ciò che volete fare, ciò che vorreste fare, di che cosa avreste paura?
D.: E’ la paura dell’ignoto.
B.: Tu hai paura dell’ignoto. Ma dov’è questo ignoto, lo vedi?
D.: Ho un’idea. Mi sono fatta un’idea, ho paura dei fantasmi.
B.: Quanti ne hai visti fino ad ora?
Risposta-Neanche mezzo.
B.: Sono quarant’anni che hai paura dei fantasmi e non ne hai visto neanche uno. Anzi uno lo vedi continuamente e ti piace, sei tu, l’unico vero fantasma.
Ghost 2.
…risate...
D.: Ma tu fai tutto un discorso lucido… noi non siamo così lucidi, Bruno!
…risate…
D.: ma è più facile superare una paura immaginaria o reale?
B.: Quella reale è più facile. Tutto ciò che è reale è più semplice. I fatti non creano mai problemi. I problemi nascono da un fatto quando da questo fatto abbiamo delle pretese o abbiamo delle attese o dei bisogni. Ma un fatto non crea mai problemi. Infatti, se noi fossimo concreti, veramente concreti, non avremmo mai problemi perché i fatti non creano mai problemi. Diremmo “E’ così” e basta. E’ quello il fatto, ed è finita. E’ l’elaborazione del fatto o il suo rifiuto che da problemi. Siamo qui in venti. E’ un fatto. Dov’è che si crea il problema? Se penso che dopo dobbiamo andare fuori e che quello non mi piace, quello mi è antipatico, da ciò nascono problemi, non dalla fattualità.
D.: Ma questi fatti Bruno, durante la giornata, li affronta l’io, o per affrontarli in un modo sano, deve esserci qualcos’altro?
B.: l fatto diventa un’unica realtà quando è vissuto senza separazione, senza identificazione, senza desiderio. Se invece c’è distacco, c’è separazione, allora c’è una zona di conflitto. Quella zona di conflitto determina la direzione che prenderà quel tipo di impatto. Se c’è l’io, c’è una zona di conflitto e in una zona di conflitto le cose si lacerano e vanno ognuna per conto suo. Di fatto non c’è incontro, giusto il contatto conflittuale e l’immediata separazione. Capito perché non vivi la realtà? Perché nel momento in cui c’è un fatto che si presenta e l’io cozza contro il fatto, c’è la repulsione, c’è il rifiuto. Quel fatto che era lì in quel momento è respinto. C’è stato solo il tocco di un attimo, di reazione, di difesa, che separa il momento reale e lo rende conflittuale, invivibile.
D.: Quindi dall’incontro con il fatto, il fatto si sostanzia.
B.: Certo, perché tu sei parte di quel fatto. Se tu non lo incontri il fatto non vive se stesso nella sua totalità. Non solo:la nostra reazione lo fa allontanare, noi ci allontaniamo e quindi rimane incompiuto. Il fatto incompiuto più grosso sei tu. Tu sei per strada, sei di cattivo umore, incontri GB, non hai voglia di vederlo. Il fatto è quell’incontro. Se tu sei tranquilla e aperta, c’è una comunione, c’è qualcosa che accade tra voi due. Il fatto si forma e si coagula grazie anche a te e all’incontro. Se tu sei affaticata, rispondi malamente o comunque in un modo distorto, lui se ne va da una parte e tu te ne vai da un’altra. Il fatto non si è formato, lui rimane quello che è ma tu sei distorta. Da tutto questo, cosa è venuto fuori? Un non vissuto, un non momento.
D.: Quindi il fatto non si manifesta. L’incontro che poteva esserci non c’è stato.
D.: I fatti non accadono finché siamo distorti?
B.: Accadono in maniera lacerata.
D.: E continuano a catena ad andare nella stessa direzione.
B.: A riproporsi. Perché comunque devono andare a compimento.
D.:.E quindi a te capiterà di incontrare sempre questo tuo stato d’animo finché non finisce.
B.: Si.
D.: Ma se blocchi il fatto, ti accorgi subito che sei storto e che c’è stato un incontro distorto accade qualcosa comunque, oppure no?
B.: Dipende dalla profondità in cui questo avviene. Se in te avviene in maniera piena, pulita, la tua stortura è risanata. In quel risanamento è possibile che si ricomponga qualcosa tra te e ciò che è andato storto. C’è stato il dolore di quella percezione, che è il prezzo di quell’errore e basta. La paura non è sul fatto in sé, ma su quello che può darti o non darti. Capite bene la differenza tra incontrare in maniera separata e incontrare in maniera unita le cose. In maniera separata c’è questo senso del fatto, la sua valutazione e l’eventuale perdita o guadagno che hai avuto in quell’atto. Nell’incontro unito c’è solo la bellezza del fatto, dell’incontro. L’eventuale sviluppo, gli eventuali frutti non hanno importanza. La bellezza del momento prevale sui frutti. La separazione prevale sulla bellezza del momento e guarda solo alle speranze dei frutti. E’ qui che si giocano le storie psicologiche degli uomini. E’ questa la stupidità degli uomini. Noi pensiamo che la bellezza dell’incontro sia determinata dai suoi frutti. Mentre la bellezza dell’incontro è nell’incontro. Noi andiamo verso le cose sempre pensando a un guadagno e questo ci tiene separati. Se invece andiamo verso le cose per incontrarle come sono, c’è sempre questa bellezza e c’è molto meno aspetto psicologico, quindi bisogni, desideri, speranze.
D.: In effetti quando si fanno certi incontri resta una sensazione come di benessere.
B.: E’vero.
D.: Certo che ci sono delle cose che, pur sapendole, siamo proprio di coccio.
B.: Posso sbagliare una volta, due, tre ma ho chiaro questo fatto, quindi ogni volta che si presenta una situazione se vedo che tendo a slittare, mi ricompongo. Una persona pratica come dite voi di essere non può che fare questo, non può non fare questo.
B.: Se non lo si fa cosa vuol dire? Che si corre sempre dietro ad una propria idea.