Bruno: Se c’è impegno il percorso si forma da solo, nel senso che una volta che ci si dedica con onestà a se stessi e che l’intensità raggiunge un livello tale da permettere una coesistenza con le proprie storie, nello stesso momento appaiono gli strumenti adatti a questo percorso e quindi quell’individuo cammina ed è camminato dalla sua strada interna. Il punto è che molte persone viaggiano sotto questo livello. E allora cosa si suggerisce, cosa si invita a fare a queste persone che dicono:“non me la sento di impegnarmi più di tanto, però questa cosa mi piace, vorrei seguirla ma faccio fatica, ecc”?
Innanzitutto è bene avere un costante riferimento. Cioè qualcuno cui riferirsi, un insegnante serio, perché un riferimento permette il contenimento delle forme più dissipative;un referente tiene fermi. Il secondo punto è cercare di avere una certa costanza nel sedersi tranquillamente. Cioè, tutti i giorni o quasi, è bene dedicarsi a se stessi, allo stare tranquilli. Nelle ore che sono più consone a ciascuno, compatibilmente con gli impegni e il ritmo biologico. Il terzo punto è cercare di frequentare persone che siano, in qualche misura, interessate all’aspetto interiore. Non sto dicendo che dovete abbandonare le amicizie o cose del genere, ma creare un ambiente favorevole. Perché se non c’è tanta energia, se non c’è tanto interesse, perdersi è un attimo e per recuperare si fa una fatica enorme. Allora un buon ambiente permette, così come un insegnante, di non dissipare in maniera sostanziale quello che siete e quindi di restare un po’ più compatti con voi stessi, e un po’ più uniti con il vostro senso interno. Dare credito a quel poco di onestà che ognuno può avere, quando questa si evidenzia. Quando sentite che una cosa è sbagliata, se è possibile, anche con sforzo, anche con fatica, magari anche con un po’ di volontà, non procedete. Se sapete che la cosa fa male, incrementarla ulteriormente è un errore. Non create dolori inutili, ne’ a voi ne’ agli altri, rimanete attenti ai rapporti, alle situazioni e anche ai momenti vostri, quelli più intimi.
Quindi io direi che questi sono i punti su cui soffermarsi: un riferimento chiaro, una certa regolarità nello stare con se stessi, un contesto sano, pulito, e un minimo di rispetto per quel poco di onestà che ognuno ha dentro se stesso. Poi, e questo è l’ultimo, tarare i condizionamenti che sono in ognuno di noi. Senza intensità non è possibile evitare i loro pesi. Quindi, non sono le cose, ma la povertà o la ricchezza interna a determinarci. Ovviamente più si è poveri più si è determinati. Questa cosa è bene averla chiara, dovete essere tranquilli su questo fatto e si dovrà avere il buon senso di non incrementarlo ulteriormente attraverso mugugni e insoddisfazioni. Cercate di capire che in quel poco spazio che si ha, quella fragilità, non può permettere una vita scevra da pasticci, da difficoltà e che tutto questo non sorge per sfortuna. Una forma di serenità da qualche parte può sorgere, se evitiamo lamentele, critiche, scontentezze di fondo. Non si può essere contenti se il nostro mondo non ha sostanza. Non è possibile. Le cose intense hanno bisogno d’intensità .La vera gioia, quella pura, non può nascere su un terreno fragile. E’ ovvio. Ogni cosa nasce sul proprio terreno, quindi se siamo fragili nasce una contentezza fragile. Se siamo fragili, nascono affetti fragili. Non può essere diversamente. E allora stiamo tranquilli, con la fragilità ma tranquilli. Quindi se ci si può dedicare a questi punti, al meglio, questo darà la possibilità di una vita sicuramente meno ombrosa. Non ci sarà la bellezza piena, ma ci sarà un contenimento dell’ignoranza e della superbia.
Domanda: Quando dici persone che fanno lo stesso percorso intendi noi qui presenti?
B.: L’importante è che nel contesto ci sia un po’ di misura e un po’ di contegno. Quando si è fragili, non è la stessa cosa, anche se questo non deve fare differenza nel senso umano, frequentare chiunque e frequentare persone che fanno questo percorso. Essendo debole ci sono delle situazioni che ti rendono ulteriormente debole. E’ una questione di autoprotezione e di sopravvivenza .Questo non significa negare, fuggire dalle situazioni, ma se mi devo muovere, mi muovo verso quelle situazioni che mi aiutano a stare un po’ fermo. Però, ripeto, non è un fatto di ordine valutativo è solo per non farti male. Non è una critica nei confronti di nessuno.
Rivediamo i punti:
Avere un riferimento chiaro con cui potersi confrontare e da cui poter imparare.
Regolarità nel stare con se stessi.
Creare un contesto che tende a limitare i danni. Questo significa frequentare persone che hanno un certo interesse per il mondo interiore e quando vi trovate in situazioni diverse da queste cercate di rimanere contenuti, di non farvi prendere dentro.
Quel po’ di onestà che c’è, portatela avanti. Quando sapete che una cosa è sbagliata o una cosa è giusta, per quel che la vostra onestà vi dice, siate coerenti con quella.
Non lamentarsi. Essendo fragili non potete lamentarvi dei vostri problemi. La fragilità dà poca capacità contrattuale e se non c’è capacità contrattuale ci sono i compromessi.
D.: Visto che siamo fragili più o meno tutti, pensavo al punto di non lamentarci, in qualsiasi situazione ci possiamo trovare, in particolare nelle difficoltà.
B.: Se ci riuscite sì. Non pensate ad una casualità del mondo. Se la mia forza è dieci, incontrerà tutto quello che quel dieci potrà incontrare. Non c’è nessuna casualità. C’è una corrente, una vibrazione all’interno della mia forza che mi fa’ camminare inevitabilmente in quella vibrazione e incontrerò tutto quello che la vibrazione consentirà. Non c’è casualità, non c’è fortuna. Pensate ad un girone dantesco, come immagine. Ognuno di noi ha il suo girone. Dentro quel girone troverà tutto quello che il girone darà. Quello che conta è ciò che ognuno trova all’interno del suo girone e in quel girone ci sono certe cose e non ce ne sono altre. E quello incontrerà.
D. :E’ il destino allora?
B. :Ma il karma non è sempre destino, può essere una forma di intelligenza per recuperare quello che non è stato visto. Diventa karma, nel senso classico, quando non c’è un approccio intelligente a ciò che appare. Il karma non è una legge meccanica punitiva. Il karma è il ritorno di materiali non integrati. Diventa karma nel senso classico quando questi materiali non vengono incontrati in maniera corretta.
D.:In senso karmico vuol dire che comunque ci dovrai passare?
B.:Sì, in qualche modo tu hai incontrato quella cosa e non l’hai riempita. Il ritorno del meccanismo è un’atto funzionale, ma se tu continui ad alimentarlo o non lo incontri, ciò porta ad una situazione karmica classica. Non esiste niente di determinato, neanche il karma. E’ la capacità di incontrare la cosa che fa la differenza.
D.:Ci si basa sempre sulla nostra capacità di affrontare le cose.
B.:La capacità fa’ la differenza. Cambia le cose. La stessa cosa colta con capacità o con incapacità cambia completamente la tua vita. Quello che mi premeva farvi capire è che non è una condanna. E’ un elemento d’intelligenza, che ripropone l’incompiutezza. Questa diventa dolorosa quando non è affrontata, ma è una storia solo tua.
D.:Prima parlavi anche di atto di volontà, che in un contesto limitato di fragilità, può essere una cosa necessaria.
B.: In un contesto limitato gli strumenti sono limitati e pochi: la volontà, il ragionamento, il rispetto, i valori morali. In un contesto di fragilità tutti i valori morali hanno la loro sostanza; sta a te vedere se riesci a portarli avanti o no. Ma, ripeto, i valori morali sono il frutto di questa fragilità.
D.:La moralità come supporto a chi è debole?
B.: Non è un supporto. E’ costretto. Il fatto che tu sia fragile ti fa’ confrontare con i valori morali e con la volontà. Che altro puoi fare? Non hai altri strumenti con cui guardare il mondo e viverlo. Se sei fragile internamente ti rimangono solo la volontà e i valori morali come parametro. Che si riesca a farlo bene o male, che si abbia una volontà forte o una volontà debole è tutto legato al proprio patrimonio. Ma comunque quelli sono i valori che si possono usare. Se manca la sostanza interna, si deve inevitabilmente fare riferimento all’intelletto e a tutti i valori cui l’intelletto fa’ riferimento.
D.:Più volontà hai, più intelletto hai, più forza d’animo hai e più legato sei, però.
B.: Eh sì. Per certi aspetti sì.
D.:E’ una condanna.
B.: A meno che questo non sia l’espressione di uno stato interno che sta’ procedendo, ma non è ancora maturo: chi inizia questo percorso deve passare per questa fase. Se una persona si dedica bene a se stessa ci passa in mezzo velocemente ma comunque ci passa in mezzo .Se non si dedica resterà in mezzo a questa pista, a questo girone, a questi valori che procederanno.
D.: Avevi detto anche un’altra cosa interessante e cioè che più si è deboli e più si è determinati, o qualcosa del genere.
B.: Sì. Nel senso che si è determinati dalle circostanze interne ed esterne. L’esistenza ti determina. E’ come uno che non ha studiato e che può fare solo certi lavori. Non può farne altri.
D.:Un bambino nasce con delle predisposizioni, poi ci sono tante variabili come la famiglia, il contesto sociale, il periodo. Questo bambino ha un suo girone già formato.
B.: Momentaneamente sì.
D.:Questo bambino che crescerà incontrerà le cose per quello che sono e avrà la capacità di incontrarle e, non solo, ma anche di godere le cose in base a quello che lui riuscirà ad incontrare. Ma questa cosa è già in fieri in lui?
B.: Sì
D.:Ma il girone può essere anche infinito se hai la capacità di…
B.: No. Infinito non può essere. E’ sempre finito. Se fosse infinito non sarebbe girone.
D.:E’ la capacità di vedere che varia completamente. Cioè una casa con qualche mobile può essere una casa monotona come può essere anche una casa ricchissima.
B.: Però sempre quella hai. L’appartamento può anche essere d’oro ma questo è il mondo in cui vivrai, dentro a quell’appartamento.
D.:Intanto non imbrattiamolo.
B.: Puoi fare quello che vuoi. Puoi anche lucidarlo tutti i giorni, ma il punto è che sei costretto a vivere lì. Questo è il condizionamento. Poiché tu sei determinato, sei costretto a vivere un ambito che ha solo quelle possibilità. Non ne ha altre.
D.:E la capacità di aprire la porta?
B.: Questa è ciò che abbiamo chiamato onestà e intensità, dedizione. Questo apre la porta e allora hai il palazzo. L’intensità sono gli spazi interni. Gli spazi possono essere il condominio, il rione, il quartiere, può essere qualsiasi cosa. Dipende dall’intensità.
D.:E comunque ci sono persone nate con più intensità?
B.: No. Non c’è differenza nella quantità di intensità, c’è differenza nell’uso. Facciamo un esempio molto semplice. A un uomo piace molto andare a donne. Ci vuole tanta energia. Se ha altri interessi questo perde d’ importanza e il suo mondo cambia. Hai l’intensità per incontrare il mondo e invece dedichi la tua intensità ad un aspetto del mondo. Questa è la differenza tra gli uomini. Quindi tutti abbiamo un bagaglio condizionato ma lo canalizziamo in modi diversi, tutti abbiamo la presenza incondizionata ma non opera a causa del bagaglio condizionato, quindi tutto il cuore dei vissuti è lì.
D.:Quello fa’ la differenza e fa le scelte.
B.: Sì. Fa tutto.
D.:Ma non è anche questo predeterminato? E cioè che io preferisca una cosa piuttosto che un’altra?
B.: Se tu non avessi la possibilità di capire che quella cosa è sbagliata allora saresti predeterminata ma tu sai che quella cosa è sbagliata eppure continui a portarla avanti.
D.:Questo vale anche per la forza?
B.: Certo. Per tutto. C’è l’oggettivo cioè il mondo e c’è ciò che vede l’oggettivo. C’è qualcosa in noi che comunque vede, ognuno di noi è testimone di ciò che vede. In quella testimonianza è chiaro che le cose sono fatte in un certo modo. Ma se tu non dai retta a questa testimonianza perché preferisci, piuttosto che stare sola, stare con un palo, non solo, sai anche è sbagliato, ma ti prendi un palo lo stesso, allora è chiaro che l’energia è dissipata. Procedi in quella direzione che è sbagliata e l’energia diminuisce perché la tua serietà e la tua onestà sono buttate nel secchio. Di chi è la responsabilità di questo fatto? E allora tu dici che hai poca energia? Ma per quel poco che tu capisci, comunque sai che è sbagliato. Sta a te, almeno per quella parte che ha capito, non aderire.
Come fai a prendere il palo e anche a lamentarti del palo? Questa è dissipazione. Dissipazione è fare tutto quello che sai essere sbagliato e poi lamentarsi. Quello che tu non sai essere sbagliato non fa’ dissipazione. Fa girone, cioè fa materiale con cui dovrai confrontarti. Una fragile onestà ti parla di un essere con cui stare o non stare, non ti parla di Dio, non ti parla di cose diverse, ti parla di un particolare. Quel particolare in qualche modo è colto, anche se è povero. Almeno a quello rispondi correttamente. L’intensità apre gli occhi sulle leggi generali, la povertà ti permette di vedere il particolare, quando questo si rende evidente:si abbia il buon senso di guardarlo per quello che è.
E’ un particolare e quindi ci può essere la forza per il particolare e ci si comporta di conseguenza. Noi possiamo vedere quello che la nostra intensità ci permette di vedere, se la nostra intensità è piccola ci può permettere di vedere qualcosa di piccolo. Piccola intensità, piccola vista. Comunque, all’interno di questo piccolo ci sia un minimo di decenza. Non si può pretendere, se c’è piccola intensità, di vedere la grande legge. Vedi la piccola legge. E sii coerente con quella piccola legge.
Il punto è che poi, di particolare in particolare, la nostra vita si appesantisce. Se so che una cosa è sbagliata e la faccio lo stesso, e un’altra e dopo un’altra ancora, e tutto converge, prima o dopo questo peso diventa insopportabile, nascono i casini, nascono i dolori, nascono i patimenti. Può andare bene per un po’, un particolare qui, uno là, ma a un certo punto le cose confluiscono. E allora il peso ti schiaccia. Questo non è il castigo divino. E’ l’inevitabilità del confluire: se intasi una volta, ne intasi un altra, e poi un'altra, alla fine è chiaro che scoppino le tubature. E’ inutile dire sono castigato o sfortunato, o non ho energia.
D.:Bruno, se uno non ha più la forza di prendere la propria vita nelle mani, si fanno degli errori, è una cosa normale, chi non ne fa’?.
B.: Non è quello il problema, è la gestione dell’errore il problema.
D. :Ci sono errori cui dopo è difficile rimediare.
B.: No.
D.: Sì, chiaro. Tutto è risolvibile.
B.: Il punto è affrontarli. Sbagliare, si sbaglierà sempre, ma serve quell’onestà e quella tranquillità per affrontarli senza sentirsi per questo sminuiti dal fatto di aver sbagliato. Il senso di infallibilità che ci portiamo dietro e il non riconoscimento gli errori sono stupidi. Sbagli e dopo gestisci la cosa o la gestisci nel momento stesso in cui la affronti.
D.: Cioè la cosa più sciocca è vedere l’errore, continuare, perseverare e vergognarsene.
B.: Oppure non riconoscerlo perché non si vuole ammetterlo, per orgoglio.
D.: In realtà lo vedi, lo tocchi proprio.
B.: Però lo sfuggi immediatamente e dici è stata colpa di qualcun altro. Quindi, in pratica o vivi o sei vissuto. E’ inutile far finta di niente di fronte ai fatti o sperare di passarla liscia. Non è così. Il movimento vi porta e vi lascia all’interno del vostro girone. Quel girone mette in pista gli elementi non portati avanti, quindi, prima o poi, capitano. Non c’è assolutamente niente di strano in questo. E’ semplicemente il frutto del movimento dal quale siete partiti. La sola possibilità è uscire dal girone. Farla franca non esiste. Così come non esiste la punizione. Esiste soltanto quello che non è stato affrontato e che si ripropone.
D.:Il fatto di essere dentro ad un girone, e con certi elementi, vuol dire che gli elementi di un altro girone non sono cosa nostra?
B.: Sì.
D.:Se uno cresce dal suo girone non va’ a finire in un altro?
B.: Sì. Cresce e dopo ne arriva un altro e deve guardare gli elementi di quel girone e dopo un altro ancora fino a quando dice, ma devo andare per tutta le vita a gironi? E allora ne viene fuori.
D.:Devi fare esperienza di tutti per uscirne?
B.: Se sei stupido devi passare tutti gli elementi, se sei intelligente passi solo alcuni e ti eviti i suoi prodotti. Vai alla radice del tema. E lì, salti tutti gli effetti. Mentre noi ci stiamo confrontando con degli effetti. Confrontarsi con le cose, dipendere dalle cose, farsi condizionare dalle cose, è ancora essere ai margini delle questioni: se guardi agli effetti, non affronti il meccanismo.
D.: Però nel momento in cui lo vedi, ne esci.
B.: Ed esci dagli effetti. Da tutte le conseguenze di quel meccanismo, da tutti i prodotti di quel meccanismo.
D.: Tempo fa tu parlavi dell’utilità di affrontare un problema alla volta. E’ questo che tu intendi?
B.: All’inizio quando le cose sono forti non puoi fare altro che incontrarti con quelle cose e quindi con gli effetti. Ma arriva un momento, nel quale, se hai praticato con una certa costanza e serietà, c’è il distacco. Più aumenta questo distacco, più aumenta questa capacità di non farti coinvolgere. Più vai al meccanismo e meno gli effetti vengono a te. Questo è un fatto naturale. A mano a mano che ti liberi dagli effetti e dai prodotti, ti ritrovi di fronte al meccanismo. Quando hai la forza sufficiente per finire con il meccanismo sei libero dal meccanismo e dagli effetti di quello stesso meccanismo. Quindi è inevitabile per un certo periodo o per un certo stato interno doversi confrontare con gli effetti, con i ragionamenti, e con la logica. Tutti questi prodotti sono inevitabili. Il punto è che tu non stia sempre lì dentro, perché ne vedi la transitorietà, la non sostanzialità. I modi in cui ci si allontana dagli effetti e ci si avvicina al meccanismo sono diversi per ognuno. Molti continuano a girare attorno agli effetti e non vanno al meccanismo: quella non è la strada della conoscenza. Quella è la strada dello sfinimento del cerebro. All’interno degli stessi meccanismi, con cui ogni uomo si confronterà, ci sono meccanismi che è facile disattivare, ma ad un cero punto si arriva al meccanismo radice: la propria storia, la propria vita.
D. :Il meccanismo lo attivo io?
B.: Tu sei quel meccanismo. La tua mente e il tuo corpo sono il prodotto di quel meccanismo. Il fatto mentale, il fatto fisiologico, la biologia del tuo organismo sono dettati da quel meccanismo di fondo.
D.: E’ un grosso condizionamento?
B.: C’è in ogni uomo.
D.: E’ diverso per ognuno di noi?
B.: E’ la paura, fondamentalmente. Dalla radice madre partono tre quattro branche forti.
D.: Tipo albero genealogico?
B.: Sì. L’ignoranza di sé, della propria natura. Sono poche cose e alla fine è poca roba anche quello che è fondamentale. E’ fondamentale per la propria struttura individuale e soggettiva. Ma, da un punto di vista non soggettivo, è una miseria anche quella.
D.: Quando fissi nasce un’ossessione?
B.: Sì, e l’ossessione impedisce di vedere qualsiasi altra cosa. Vedi solo lei. Vedi solo l’ossessione. In tutte le sue forme.
D. :E quanto può pesare un’ossessione, nel senso che in un momento può pesare e nell’altro no?
B.: Ma questo succede perché hai momentaneamente un interesse diverso. Appena quella cosa va via torna subito l’ossessione.
D.: Ma come si va’ alla radice?
B.: Bisogna stare là con interesse e con gentilezza. Ascoltare. Qualsiasi cosa sia o qualsiasi cosa appaia non è un problema, ci siamo noi e la nostra capacità di affrontare le cose, e non si reagisce. Si comincia con il non alimentarla, non tenerla, non opporsi, arginando gli effetti, la produzione degli elementi. Se riesci a fermare questa produzione, e riesci a scavare dentro a questa ossessione, questa si indebolisce. Fino a quando c’è la forza di farla esplodere o essa si apre di fronte alla tua intensità, alla tua onestà. Tutto ciò che è condizionato, quindi anche l’ossessione, la radice, sono sempre situazioni obiettivamente non profonde. La profondità non ha radici, non ha ossessioni, non ha oggettività.
D. :Sono meccanismi della mente difficili da cogliere?
B.: Per uno che non ha studiato qualsiasi cosa è difficile. Se uno ha studiato ha lo spirito e ha la forza di andare a vedere quello che si presenta. E non si pone tanto il problema del fatto che sia facile o difficile. E’ pronto ad accettare quello che si presenta. C’è una situazione, un fatto. Non date corpo e sostanza ai ragionamenti. Andate là e state là, non sapete come affrontarlo, non sapete come risolverlo, state là e basta, senza aggiungere niente. Questo è stare con se stessi, non fermarsi su tutte le varie storie che vengono fuori, dar loro peso e scegliere quello che ci va’ meglio oppure scappare da quello che non ci piace. Tutto questo non porta da nessuna parte e non avrà mai una logica sana. Tensione, blocco, buco, perdita, eccesso, quello che è, state là, state sulla sensazione, possibilmente senza definirla. Senza dire va bene, non va bene, perché non sappiamo niente di quella sensazione. Vedete se riuscite a trovare il modo di convivere tranquillamente con quella cosa, senza volerla modificare. Questo è il passo da imparare, ogni volta che siete portati dal pensiero, e poi, siete riportati a voi stessi.