Bruno: Noi, anche se non sembra, abbiamo il chiodo del mondo: devo fare, devo lavorare. Quello è un chiodo. Quello che chiamano concretezza è un chiodo. Non esiste una realtà fatta di queste cose. In realtà non esiste quella pressione nel mondo. La genesi di tutto è che non hai benzina. Cioè tu vivi così perché non hai benzina e allora il mondo fa pressione. Ma, se tu hai benzina, il mondo è lì ma non c’è la pressione. E’ questo che cambia. Tutto qua.
D.: Questo mi è chiaro.
B.: Tu hai la fissazione di dover svolgere compiti, di dover lavorare, di avere famiglia, di avere questo da fare, quest’altro da fare, di pulire la casa. Tutto il giorno la tua testa è sopra al mondo.
D.: Però, vedi, se io penso a qualcosa che non è piacevole non riesco a capirlo altrettanto bene.
B.: Il fatto che ti piace o non ti piace è una fissazione anche quella.
D.: No. Diciamo che non voglio evitarlo, però capita qualcosa di non piacevole, obiettivamente.
B.: Non piacevole? Ma cosa c’è di non piacevole, effettivamente?
D.: Una malattia.
B.: Per il corpo. Ma se tu hai questa qualità interna, non è un problema. Ti potrà fare male ma non c’è il non piacevole. Non c’è qualcosa che disturba l’equilibrio interno. L’equilibrio interno è disturbato quando si stabilisce che c’è qualcosa che lo condiziona.
D.: No. L’equilibrio interno, no, però emotivamente io soffro. Sono comunque ferma, so che questa cosa va affrontata, sento comunque che potrò serenamente affrontarla. Ciò non toglie che se non accadeva stavo meglio.
D.: Non scegli tu quello che ti succede.
B.: Lo determini tu. Se non hai benzina, lo determini tu in qualche modo. Tu non determini niente se hai benzina, determini il tuo mondo se non hai benzina. Il tuo vissuto è legato alla benzina. Se hai tanta benzina non determini niente: se non hai benzina determini tutto. Ma che cos’è che determini, dopo tutto? Quella povera tua esistenza.
D.: Reductio ad absurdum. Straordinaria questa. Continuo a essere atterrito da queste affermazioni. Bellissima questa, mi piace tanto… questa ha una sua valenza estetica… posso ripeterla io? Se c’è benzina, non determini nulla, se invece non c’è benzina, determini tutto.
B-Ma “tutto” sono “tutte le miserie della tua vita”. Quello che tu chiami concretezza lo determini con la mancanza di benzina. Quello che tu chiami mondo, importanza del mondo, non è nient’altro che mancanza di benzina. Quando c’è benzina quel mondo là non c’è più.
D.: Ma non è anche vero che di una cosa che consideriamo sfortunata in realtà non comprendiamo il vero significato?
B.: Quindi puoi solo affrontarla.
D.: C’è un senso alla qualità di questa vita?
B.: E’ quello di saperla incontrare. Non pensando che qualcosa sia bene o che qualcosa sia male, ma essere capaci di viverci bene insieme.
D.: Cioè fine a se stessa? Se io credo alla reincarnazione, per esempio, questo non determina nulla in quello che sarà?
B.: Sì. Determina.
D.: Perché deve avere un senso qualcosa?
B.: Non ha un senso né un non senso.
D.: Non c’è neanche assenza di senso, però.
B.: Certo. Perché noi pensiamo che avere un senso significhi avere uno scopo salvifico. Il significato del senso è legato sempre a cose di un certo tipo. Una cosa ha senso se va in una direzione, se va dall’altra o non ci piace o non ha senso. E invece non c’è né questo né quello. C’è solo quel fatto e la capacità di viverlo. Se tu vivi il fatto in maniera corretta stai bene comunque. Di là del fatto stesso. Lo stare bene non è legato al fatto. Quindi se tu hai una malattia, se la incontri in modo corretto, non so se guarisci, ma sicuramente stai bene lo stesso. Se invece non hai la benzina giusta per affrontare quella malattia, allora ci saranno dolore fisico e dolore psicologico.
Il tema è un rapporto intelligente con la malattia. Che non è buonista, salvifico, speranzoso. E’ semplicemente il giusto rapporto con la malattia. Non incide nella tua interiorità, nel tuo profondo. In qualche modo è solo un accadimento. Ma tu non ne sei coinvolto.
D.: Vivo una cosa correttamente e la assimilo, la imparo.
B.: Non ne sei condizionato. La vivi senza essere condizionato. Il punto è vivere le cose senza condizionamento.
D.: Così vedi tutti gli aspetti.
B.: E soprattutto non li temi, non ne sei legata. Sei, nello stesso tempo, pienamente presente alla cosa ma completamente libero dalla cosa. E’ simultaneo. Allora, terminiamo con una domanda. Qualcosa muore. Che cosa è importante: la morte o ciò che muore? E’ importante quello che muore o la morte?
D.: La morte.
B.: E allora? Se voi spostate l’accento e vi interessa la morte, quello che muore…
D.: Quello che muore è morto.
B.: Già. E’ la morte che è importante, e allora se voi guardate quello che è essenziale, tutto l’accento è spostato. Quindi, il rapporto con quella situazione cambia completamente. Se sei fermo e tranquillo vedi che la cosa rilevante del fatto non è chi muore, ma la morte. L’altro è solo un effetto. L’effetto puoi constatarlo e ti può dispiacere ma comunque quello che è rilevante è la presenza della morte, perché quella ha veramente sostanza dentro al fatto. E se tu vuoi incontrare le cose nella loro sostanza bisogna che guardi la morte.
D.: Ma se domani capita, voglio vedere cosa succede. Tutti quanti spostiamo l’accento sull’effetto.
B.: No. Tu non sposti l’accento perché lo decidi. Ti tocca guardare quello che muore perché non hai la forza di affrontare la morte. Non siete voi a decidere. E’ quello che non avete che decide.
D.: Terrorizza la morte in se.
B.: Non siete voi a decidere, sono le cose mancanti a farlo. Sono le mancanze che decidono. Se siete mancanti, sono queste lacune che decidono dove guardare, non voi. Quindi di fronte alla morte siete obbligati a guardare colui che muore, soffrire per colui che muore e patire tutto quanto il percorso. Ma, se siete forti, voi vedete prima di tutto la morte e vedete anche colui che è morto. Siete dispiaciuti ma siete veramente presenti al fatto. Per questo il dolore è di natura diversa. E’ intrinseco all’atto ma non è fondamentale.
D.: Noi siamo lacunosi e quindi scegliamo.
B.: Noi pensiamo di scegliere e invece siamo obbligati a guardare.
D.: Vedo una grande verità in questa cosa.
B.: Non avete la scelta di guardare quella cosa. Siete obbligati a guardare quella cosa e questa la scambiate per libertà ma, in effetti, non potete fare altro. Non potete dire: “guardo la morte”. Non siete in grado di farlo, vi tocca guardare il morto.
D.: E’ la nostra incompletezza che ci porta alla scelta.
B.: E noi che pensiamo che questo sia scelta, libertà, invece no. E’ condizionamento, incapacità, mancanza di forza, mancanza di energia.
D.: Questo è profondamente vero.
D.: Cioè il condizionamento ci fa vedere solo una parte. Ci dà quella possibilità e basta.
B.: Esatto. Ma te la dà lui. Non ve la date voi. Quindi non c’è libertà, è il condizionamento che decide. In questo senso non esiste mai libertà. E, quando non siete condizionati, non esiste il problema della scelta e neanche della libertà.
D.: E’ la famosa parola destino, che noi attribuiamo per dire quello che ci condiziona.
B.: Il destino sono i nostri condizionamenti.