Bruno: Noi ci sediamo, soprattutto all’inizio, con una spinta a capire, vedere, verificare, conoscere o per stare un po’ meglio. Però, una volta che abbiamo esaurite queste spinte, impostarsi correttamente diventa fondamentale. La meditazione non è qualcosa di definibile, qualcosa di conoscibile, e quindi necessita di un approccio alquanto morbido e libero. Quando noi ci sediamo e vediamo tutti i pensieri andare, venire, è sufficiente osservare in modo imparziale tutti questi movimenti.
Lo scorrere dei pensieri, lo scorrere delle sensazioni più di tanto non è un problema. E’ quando c’è qualcosa che ci turba, che ci tocca, quando abbiamo un problema nei rapporti, nel lavoro, allora il pensiero si sposta in quella direzione e comincia a presentarsi con una certa persistenza, si fissa. Qui la situazione inizia a farsi difficile, ma è qui che dobbiamo imparare a confrontarci con quello che si presenta.
Meditare non significa meditare su qualcosa, riflettere su qualche elemento. Stare con ciò che si presenta è la porta verso la profondità, meditare è oltre ogni attività umana. E quindi prima devi completare l’aspetto umano. Stare vicino alla cosa dipende molto da quanti materiali irrisolti, da quante situazioni scomposte abbiamo. Poiché abbiamo tante memorie, tante strutturazioni, tante storie dentro di noi, queste non ci lasciano tranquilli, non ci lasciano fermi. Allora in qualsiasi momento in cui si è disponibili a stare con quello che è, non bisogna aver fretta né di catalogarlo, né di dargli un nome, né di definirlo, né di capirlo, né di risolverlo. Si deve avere pazienza fino a quando quello che si sta osservando non si apre, non parla.
Non serve cercare di andare dentro alla cosa, di aprirla, di smembrarla, di capirla. Questa è un indagine che si fa’ in certi momenti, in certe circostanze, ma da un punto di vista meditativo quello che vale è lo star fermi, il lasciar parlare le cose. Quando vediamo qualcosa che non ci piace, fuggiamo, quando si presenta con veemenza chiudiamo gli occhi e non vogliamo saperne niente. Oppure abbiamo fretta di risolverla e allora cerchiamo di modificare la situazione. Niente di tutto questo è meditazione, niente di tutto questo serve. Noi dobbiamo trovare la pazienza necessaria e dedicare il tempo necessario, fino a quando l’evento non comincia ad ammorbidirsi, ad aprirsi. Il tempo giusto per incontrare ciò che è, è permettere all’evento di essere, qualunque cosa sia. Il nostro approccio, quindi, è un approccio testimoniante.
In questa testimonianza, se noi permettiamo l’apertura, c’è un’incontro. E lì, il fatto prende la giusta dimensione. Può esserci la comprensione o la fine di quel senso, comunque dentro si apre uno spazio diverso. Bisogna avere una grande cura e una grande pazienza per quello che avviene. Non è possibile subito, non è possibile sempre, non pensatelo come modello di comportamento, è un’impostazione. E nello stare vicino al fatto, un modo esce. Un modo di quel momento e di quel rapporto con la cosa stessa. Non lo determinate voi.
Quello che voi dovete capire è che la capacità di potergli stare vicino non la potete scegliere, non è qualcosa che potete decidere. E’ data da tutta la massa interna, quindi per un bel po’ di tempo si riesce a stare vicino alle cose solo per un attimo. Questo attimo si allarga mano a mano che i condizionamenti si riducono. L’indagine su se stessi, l’onestà verso se stessi alleggerisce i materiali. Questo permette di aumentare il rapporto con le cose che si presentano, aumentare l’energia interna. Permette di stare là. Di stare là senza fare niente, in amicizia, tranquillamente, gentilmente, con la cosa vista. Tutto questo procedimento si riequilibra da solo, a mano a mano che si riesce, con gentilezza e in gentilezza, a rimanere accanto a ciò che è, senza fare nulla.
Non dovete sentire né sconfitta, né difficoltà, né pesantezza dal fatto che non si riesce o che si fa fatica a stare. Tutto ciò che non si riesce a fare e si fatica a portare avanti è dettato dai nostri condizionamenti e quindi è normale che nello stare vicino alle cose ci siano difficoltà. Non importa. Ritornate lì con gentilezza e con pazienza. Non c’è altro modo, fino a quando dobbiamo fare fronte ai nostri materiali. Una volta che i nostri materiali sono alleggeriti, sono ammorbiditi, sono svuotati, c’è uno stare, un vivere, un essere. Ma, intanto, il primo approccio è imparare a incontrare le cose. Senza metterci sopra assolutamente nulla. Nessun desiderio, nessuna volontà, nessun metodo, nessuno schema. Lasciate che la cosa avvenga da sola.
Quindi è fondamentale essere testimoni della vita per come si presenta e non cercare di capire a tutti i costi. Le cose si presentano da sole e si presentano secondo un equilibrio a noi sconosciuto. Non serve altro, non fate altro. Ciò che siamo è lì e se quello che siamo è un ammasso amorfo e denso di limiti e di improprietà, di situazioni sbagliate, ciò inevitabilmente è là, non può non esserci. E non potete neanche fare finta che non ci sia.
Domanda: Ma la tecnica può essere un aiuto per arrivare?
B.: La tecnica non è utile né alla meditazione, né all’indagine interiore. Tu non starai mai con te stesso usando una tecnica o un metodo, imparerai quella tecnica, essa potrà avere degli effetti sulla tua mente, sul tuo organismo…
D.: Magari rilassa…
B.: Ti darà qualcosa. Ti darà quello che la tecnica può darti, ma questo non è meditazione. Da un punto di vista meditativo, nessuna tecnica e nessun metodo sono in relazione con l’aspetto meditativo stesso. La meditazione inizia là dove finiscono le forme e le direzioni. Quindi si possono usare quante forme si vuole, però se si vuole meditare bisogna che le lasci, al di là di quello che possono servire e al di là di quello che si può avere imparato. La tecnica può aiutare la concentrazione ma non la meditazione. Nella meditazione non c’è nessuna concentrazione.
D.: Io pensavo fosse una cosa tipo, faccio un esempio, uno fa degli esercizi di inglese e dopo gli esercizi non gli servono più perchè l’inglese l’ha imparato. Non ha più bisogno di esercizi.
B.: No. Questo non lo puoi imparare. La meditazione non la puoi imparare. La rottura è questa. La tecnica puoi impararla, la meditazione no. Il mondo meditativo non è nel conosciuto. Niente che tu possa conoscere, sapere o fare è meditativo. Niente. Ci sono diverse persone che usano delle tecniche, che fanno pratiche, però se voi avete un momento in cui siete voi stessi, in cui siete veramente voi stessi, sentite che non è possibile niente, lo capite immediatamente che non è possibile niente. Nessuna intrusione del mondo conosciuto ha senso là dentro. Se tu hai un problema e non impari ad affrontare il problema, non potrai mai meditare, non riuscirai mai ad essere in meditazione. La tecnica e il metodo non ti fanno affrontare il problema, ti allontanano dal problema. Tu non devi spostarti dal problema: guardando la tecnica, non guardi il problema.
D. :Quindi è uno spostamento.
B.: Si. La tecnica la devi usare per quello che è, per la sua funzione, ma non per stare con te stesso. Questo non esiste. Tu sei di fronte a te e ci sei solo tu, il tuo problema, la tua storia. Devi imparare lì. Non fare niente, sii gentile e lascia che quella parte di te che fino a quel momento è stata chiusa, è stata nascosta, è stata lontana perché tu non hai voluto prestarle attenzione, si faccia avanti e dica quello che deve dire. Di fatto quello che si presenta a noi è tutto l’inascoltato. E l’inascoltato desidera essere ascoltato. E’ tutta qui la nostra storia: che ci fa una tecnica dentro l’ascoltare?
Noi come soggetti, come individui, siamo composti da ciò che è stato inascoltato. Se noi ci ascoltiamo, impariamo ad ascoltare tutto il nostro inascoltato, allora il nostro mondo soggettivo, il nostro mondo personale finisce. Quindi la nostra personalità, la nostra soggettività non è nient’altro che ciò che non è stato guardato con cura. Non esiste un soggetto, un individuo, una persona al di fuori di ciò che non è stato ascoltato. Non c’è. Lasciamo che ciò che, fino ad adesso, è stato inascoltato, finalmente possa dire la sua: questo porta la fine dei processi personali. Non solo, anche tutto quello che si presenta non è che il riflesso dell’inascoltato interno.
La nostra vita è satura di impegni, è satura di fatiche, è satura di dolori, è satura di piaceri perché è richiamata dal nostro mondo interno. Che è un mondo caotico, pieno di materiale e questo non fa altro che richiamare nuovo materiale. Se cominciate ad ascoltare e vi svuotate dentro, anche il mondo fuori si svuota. Di conseguenza, impegni, fatiche, rimangono in proporzione a ciò che è rimasto dentro. Allora voi imparate ad ascoltare fuori come ascoltate dentro. La mente, gli occhi, il cuore rimangono tranquilli, intoccati dalle distorsioni. E qualche volta se il cuore è particolarmente intenso e c’è un po’ di compassione, date una vera risposta. Perché là dove tutte le risposte falliscono, solo la compassione può fare qualcosa.
Niente va perso di quello che è fatto con questo equilibrio, con questa salute. Però non è detto che la cosa si attivi o si faccia subito. Questo no. Dipende dalle resistenze che ci sono di fronte. E’ bello quando si è gentili di fronte a quello che si presenta, è bello quando c’è questa pazienza, ed è bello vedere questa gentilezza e questa pazienza sciogliere il nodo che si è presentato. Allora, tutto ciò che è sano, tutto ciò che è giusto… uso queste parole perché non esistono parole diverse da queste…tutto ciò che è meditativo, tutto ciò che è limpido, tutto ciò che è cuore, nasce nell’ignoto, non nasce nel noto. E nasce indipendentemente dal noto. Quindi se avete la spinta a ciò che è bello, a ciò che è sano, a ciò che è forte, a ciò che è pulito, è inutile che puntiate sul conosciuto, sui mezzi, sugli strumenti che qualcuno vi fornisce o pensa di fornirvi.
E’ tempo perso e sono illusioni. Tutto ciò che è fondamentalmente pulito ed è fondamentalmente umano è nell’ignoto. Lì le cose sono giuste, lì le cose sono sane, lì la comprensione avviene, lì l’affetto è vero. Solo lì. L’aspetto noto, se è inserito nell’ignoto, è portatore di questa bellezza, ma se è staccato dall’ignoto non potrà mai darvi nessuna comprensione, nessuna pulizia, nessun gesto autentico. E nessuna meditazione.
Quindi, capite bene, nel noto non c’è meditazione, nel noto c’è indagine, nel noto c’è conoscenza, nel noto c’è la capacità di cogliere i propri processi e di cominciare a gestirli. Si è sempre all’interno della mente personale e dei suoi processi.
Ma la meditazione nasce quando tutto questo lavoro è terminato. Quando voi siete gentilmente e con pazienza di fronte ai fatti e non si muove una virgola. Né dentro, né fuori. Allora c’è meditazione, solo in quel momento, solo per quel momento, solo per quella circostanza. Quindi, non abbiate speranza e illusione di poter fare qualcosa di veramente importante restando dentro ai movimenti conosciuti. Quello che si può fare nel mondo conosciuto è sbagliare meno possibile, far meno danni possibile. Nel mondo del noto si può solo cercare di alleggerire gli errori, fare meno errori, ma non si può fare la cosa giusta.
Capite come sono diversi i due mondi? In realtà non sono staccati. Adesso sono staccati e uno è in contrasto con l’altro. Non per sua natura, ma perché noi abbiamo distorto il conosciuto. Finita la distorsione, il mondo del noto è assorbito dall’ignoto o l’ignoto si fa presente. E allora i due diventano uno e camminano insieme o c’è solo un camminare. Non siate delusi e scoraggiati dal fatto che fate fatica a stare con voi stessi. La fatica è data solo dalla quantità di materiali che avete dentro. E’così, accettate il prezzo del materiale che avete e siate onesti con voi stessi, in modo che questo materiale finisca.
D.:Ma la pazienza di cui tu parli ha una relazione con la pazienza della nostra vita?
B.: Il punto è sempre quello. C’è tanto materiale e fai fatica ad essere tranquilla di fronte ai fatti. Hai tanti impegni, hai da lavorare, devi pulire la casa, devi stare dietro al papà e alla mamma, devi curare il tuo corpo. Hai una montagna di cose da fare. Con tutte queste cose da fare è difficile avere uno sguardo paziente o comunque gentile di fronte alle cose, perché ci sono troppi impegni e troppo carico, troppa pressione. Ma il carico non è dato dalle cose. E’ dato da tutto l’incompiuto, dall’inascoltato. E’ questo il carico vero, ed è questo carico che produce il carico esterno.
D.: Ho capito quello che vuoi dire. Ma anche, per esempio, quando al lavoro devo relazionarmi con le persone, forse non è diverso da quello che dici, a volte non avrei tanta pazienza e mi sforzo.
B.: Devi renderti conto che sei in un posto con determinate caratteristiche perché sei come sei.
D.:Non è a caso che sono lì?
B.: No. Non è a caso che sei là.
D.:E’ un banco di prova?
B.: No. Non è un banco di prova. Sei là a causa dei condizionamenti. Non è perché devi imparare, ma è per come sei, che ti trovi lì. La vita non ti giudica e non ti assolve. La vita ti specchia.
D.:E’ bellissima questa cosa.
B.: La cosa importante è che non pensiate che sia punitiva. Ognuno di noi è specchiato dalla vita, non c’è una virgola in più, né in meno.
D.:Ciò che fai è ciò che sei?
B.: Sì, E non puoi fare qualcosa di diverso da quello, non hai possibilità diverse. Anche se credi di averle non è così.
D.: Non è possibile fare niente? Concorsi interni…
B.: Fai quello che vuoi. Se nella vostra vita è importante stare con voi stessi, si formano nuove condizioni. Altrimenti gli eventuali cambiamenti saranno comunque all’interno dei condizionamenti.
D.: Ma visto che il materiale è tanto uno come fa’ ad affrontarlo? Una cosa alla volta?
B.: C’è sempre del materiale che predomina sul resto, c’è sempre del materiale che è più forte. Quello è il materiale che va affrontato.
D. :Ho l’attenzione su quello e lascio perdere tutto il resto.
B.: E’ comunque qualcosa che si impone. Tu guardi quello che è più consistente perché sei indotto a guardarlo. Essendo più consistente s’impone da solo. State lì con quel materiale. Nessuna scelta, di nessun tipo, mai.
D.: Mettiamo l’attenzione su quella finché non è sciolta.
B.: Attenzione gentile e paziente. Noi abbiamo l’abitudine di pensare che si possa fare qualcosa, che fare qualcosa sia quello che ha senso e invece non è così. Questa è la visione personale del mondo: nel mondo bisogna fare qualcosa. E la mettiamo anche nella meditazione. Ma se voi capite che le cose funzionano in modo impersonale, capite anche che non serve fare niente. Solo l’impersonale opera. Quindi il fatto di non fare niente, non è qualcosa che mantiene le cose come sono. E’ la maniera giusta perché le cose si facciano o finiscano. Tutto sommato la cosa più bella che potete costatare di voi stessi è la certezza che il non fare, è il più gran fare. Che non fare, non intervenire è un movimento della vita, è la cura di ogni malattia. Il nostro agire è un impedimento al vero agire. Quando cogliete questo fatto siete a posto. Non è passività, non è apatia, non è il non fare niente, perchè cigola la testa anche quando non si fa niente. E’ il non fare niente in cui la testa non c’entra. Molti giocano su questo.