Bruno: La nostra giornata ha i suoi doveri e necessità e noi dobbiamo rispondere a tutte queste situazioni. Come è già stato detto, i pesi, i doveri, le responsabilità, sono strutturalmente legati al tipo di pulizia interna. Quanto più uno è carico dentro, tanto più è carico anche di impegni, di responsabilità. Viceversa tanto più è alleggerito, tanto più si alleggerisce il suo quotidiano. Se si è tranquilli, rilassati, con un certo equilibrio interno e si è morbidi nel vissuto, può accadere che dentro a questa morbidezza, dentro a questa tranquillità, si entri in contatto con il silenzio, con questa presenza impersonale che avvolge la vita. Questo silenzio impersonale tocca, avvolge penetra tutto quello che c’è.
Il contatto con questo impersonale, con questo silenzio, è qualcosa che s’incontra a man mano che il nostro materiale si riduce. Quando ci troviamo di fronte al primo tocco dell’impersonale, non sappiamo come comportarci, cosa fare, né che senso abbia questa cosa. Di solito la sua caratteristica è una forma di vuoto, non ci sono pensieri, non ci sono immagini che si presentano. C’è questo senso di vacuità. Però dentro a questo senso di vacuità c’è una grande intensità, quindi non è un vuoto fiacco, è un vuoto pieno, è un vuoto intenso. C’è la possibilità di entrare in rapporto, di incontrare questo impersonale e dentro questo incontro, c’è la possibilità che le nostre tematiche fondamentali trovino una risposta.
Se nella nostra vita c’è un problema, un grosso problema o più problemi, quando si arriva di fronte a questa vacuità, a questo silenzio, tutti i problemi, tutte le tematiche che non hanno sostanza vengono cancellate, o decadono. Anche se volete presentarle a questa situazione, non c’è la forza per farlo perché questa vacuità, questa intensità, non accetta ciò che non è, accetta solo ciò che è. Questa è una prima verifica.
Così all’interno di questo incontro voi sapete che ciò che sopravvive è reale, ciò che non sopravvive non lo è, qualsiasi sia la tematica che avete dentro di voi. Se dentro questo primo contatto permane una forma di vissuto, un problema, una questione, una domanda, allora quella è reale. Quell’intensità, quel vuoto, di fronte a un problema, a una dinamica, a un vissuto reale, si dinamizza, si attiva, ed entra in contatto. A quel punto può esserci la sensazione che la cosa sia stata accolta. E in quell’accoglienza c’è una risposta, c’è una forma di risoluzione della tematica stessa.
Se rimanete lì, quel sospeso che avevate della vostra vita è accettato, accolto, la vita stessa se ne è fatta carico. Quella tematica non apparteneva al singolo, apparteneva all’impersonale ed è stata riportata nella sua giusta sede, l’impersonale stesso. Solo nella giusta sede le tematiche vere hanno una vera risposta. Se sono in una sede sbagliata, anche se la tematica è vera, non riceve la sua risposta. Quindi è importante da un lato rendere chiaro ciò che è autentico, dall’altro consegnarlo e incontrarlo nella giusta sede che è il silenzio.
Lì scaturisce l’azione vera, l’azione che porta a compimento quella tematica che è in noi. Non c’è un’altra possibilità. Quindi l’azione vera, così come la vera tematica, nascono solo in quell’incontro e in quella presa di consegne, in quel consegnarsi, in quell’essere consegnati a questo impersonale, a questo silenzio. Nessun’altra azione può essere chiamata tale.
Quelle che noi chiamiamo azioni sono attività, sono movimenti, è agitazione ma non sono mai azioni. L’azione nasce nell’incontro tra il silenzio e un bisogno effettivo, reale. L’attivazione pratica di questa risposta avviene con i tempi e con i modi che questo silenzio, questa stessa impersonalità porrà, non è più nelle nostre mani. Tra le nostre mani c’è il fatto che è vero ed è reale il tema che abbiamo vissuto, che abbiamo portato avanti. Questo è quello che conta, quindi fare pulizia delle tematiche, guardarle onestamente, ripulirle da tutte le incrostazioni e poi stare quieti. Fermi, tranquilli fino a quando, e questo è il segno, non appare questo silenzio e allora significa che le tematiche in corso sono vissute in maniera corretta.
Che queste siano vere o realmente importanti abbiamo visto che è ancora da appurare. Ma il fatto che si riesca a rimanere nel silenzio significa che il lavoro di pulizia e di assestamento è stato compiuto correttamente. Quindi il segno che voi siete apposto con le vostre dinamiche sta nel fatto che appare il silenzio in presenza delle dinamiche stesse. Altrimenti il silenzio non appare. Se voi non siete ben assestati nel rapporto con le vostre storie il silenzio non compare.
Questo è l’unico mondo concreto che esiste, è l’unica concretezza che esiste, non ne esistono altre. Altre concretezze sono solo fantasie e i fantasmi delle nostre fantasie; in questo allineamento s’incontra questa forza, questa impersonalità che è sempre presente quando si è allineati. Ma se vi siete ripuliti o pensate di avere ripulito e non appare di fronte a voi, intorno a voi, questo silenzio, questo vuoto, questa intensità, significa che, o i vostri problemi sono proprio delle balle, o non avete ancora messo nella giusta prospettiva la gestione interna, quindi, la propria responsabilità non è finita. C’è ancora qualcosa da maturare o da riequilibrare.
Questa forza non è né passiva, né attiva, non è personale, è presente ovunque, si dinamizza o si attiva o si presenta perché la situazione è stata ripulita così bene o così adeguatamente da calamitare l’evidenza di questa presenza. Quindi l’apparire del silenzio non è un moto suo solamente, è un incontro che si fa nel pulirsi e nel permettere di riconoscere o di vedere questa presenza. Lo potete vedere, sentire, è qualcosa non di sensibile ma che si percepisce. In questa percezione state fermi. State fermi, siate onesti, siate disposti a vedere scomparire il grosso di quello che ancora avete mantenuto, sciolto da questa presenza.
Quando questa situazione ha compiuto tutti i suoi passi, e tornate perché non ce la fate a sostenere questo silenzio, non riportate in vita, non cercate di riesumare, o di salvare i materiali abbandonati. Avete avuto il tocco o l’evidenza che quelle cose non hanno sostanza, non hanno valore; non hanno più senso, lasciatele perdere, anche se si ritenevano importanti.
Per ciò che è impersonale l’importanza e la non importanza si muovono su tutt’altro binario, non hanno assolutamente niente a che vedere con i nostri criteri. Troverete che sopravvivono cose che non pensavate così rilevanti, mentre cose che credevate importanti se ne vanno. Rispettate questo tocco, perché se non lo rispettatesi allontana. Il rispetto per ciò che è impersonale è importante. Non il senso dell’essere supini, dell’essere succubi, ma il rispetto sì .
Siate allineati, e non pensate che l’allineamento sia una cosa mistica e particolare. Quando siete riusciti ad accettare ciò che siete e ciò che c’è dentro di voi senza protestare, con la forza che avete, con l’intelligenza che avete, allora siete allineati. Se ognuno di noi è onestamente se stesso per quello che è, e in quel momento è a posto, allora l’incontro avviene.
Quindi io vi chiedo gentilmente di guardare al mondo, a quello che noi chiamiamo, concretezza, fatti, avvenimenti, con l’occhio dei sensi, con l’occhio della ragione, con l’occhio dell’intelletto, e di rispondere eticamente, in modo corretto. Ma sappiate anche che questo tipo di vissuto ha dei grossi limiti e comunque non è mai sostanziale, non è mai reale, non è mai veramente concreto. Quello che chiamiamo mondo, pratica, concretezza, eccetera, se non ha l’imprimatur di questo silenzio, di questa impersonalità non è mai veramente concreto, non è mai veramente reale.
Il reale rende reale il mondo quotidiano, ma se il mondo quotidiano è visto separato da questa impersonalità, questo lo rende irreale. Quindi se non c’è il tocco di questo silenzio, quella che consideriamo realtà è solo la nostra realtà: la nostra realtà è la nostra testa. Se la testa si ritira allora c’è una realtà sola. C’è una sola realtà: o ne sei dentro o ne sei fuori. Quando ne sei fuori quella è la “tua realtà”, ma non è “la realtà”, non fate confusione. La realtà è. Ma non è nostra. La realtà viene, vive e opera costantemente, di momento in momento, all’interno di quel silenzio e di quell’intensità. Questo è il concreto.
I drammi e le difficoltà della nostra vita sono essenzialmente irreali. Per chi li vive hanno una loro realtà ma di fatto sono irreali. Se noi riuscissimo a vedere bene questo fattoci sarebbero molte meno discussioni, molti meno problemi, molta meno fatica, molto meno dolore. La vera realtà è così dirompente, così forte che non ti lascia margini di trattativa. Ha tutt’altro sapore, tutt’altro modo di essere. Pur vedendo le stesse cose, le cose sono immerse in una dimensione diversa. Se non vi ritrovate allineati dentro alle vostre tematiche e quindi con i vostri problemi di fronte al silenzio, siete fondamentalmente falsi. Se in tutto quello che vivete non avete di fronte il silenzio, siete falsi o, comunque, nel momento in cui non lo avete di fronte, quelle tematiche che portate non sono vere. Perché ciò che è vero ha sempre di fronte il silenzio. Sempre.
Domanda: Sì. Mi è chiaro. Per dare una possibilità a questa cosa bisogna fare più di un passetto indietro, parecchi passi indietro.
B.: Dipende da quanto materiale hai. Prima devi ripulirti e sai che sei pulito e onesto perché di fronte hai il silenzio. Non giocare e non pensare “se non c’è il silenzio non posso fare niente…”. No. Ti ripulisci.
D. :Sì, ma, Bruno, fammi capire. Io nella mia situazione com’è che posso fare un’operazione di pulizia se non mollo la presa sulle cose che mi circondano, sulla mia quotidianità?
B.: Un gesto di onestà.
D. :Quindi di umiltà. Cioè nel senso che tutti noi ci circondiamo di finte sicurezze, chiamale come vuoi, dati affettivi, dati anche materiali.
B.: O scaricamento delle proprie responsabilità sugli altri.
D.:Chiaro. Comunque fatto sta che inevitabilmente c’è questa tendenza perversa a creare dei feticci per avere dei punti di riferimento. E noi alla fine crediamo a queste finte rappresentazioni, mentre se ci fosse un po’ di onestà, vedresti che sono dei simulacri.
B.: E allora?
D.:No, no. Sto ribadendo il tuo concetto però con parole mie.
D.:Non sono un po’ in contraddizione il fatto di ripulire e il fatto poi di non fare niente?
B.: Il non far niente nasce quando tu hai ripulito. Nel momento in cui tu ripulisci, là c’è l’incontro con il silenzio, che si prende carico di ciò che è.
D.:Devi avere il contatto?
B.: Certo, ma il contatto avviene se ti sei ripulito. Nel ripulirti tu non hai più niente da fare. Hai già fatto il tuo. La tua responsabilità è gestire te stesso e le tue dinamiche. Questo lo devi fare tu, con impegno e serietà. Fatto questo, se lo hai fatto veramente, tu sei a posto per quello che è la tua responsabilità. Da quel momento là, il fare non c’entra più. Entra il non fare, che è un altro tipo di fare, è il fare dell’impersonale. Il fare dell’impersonale è chiamato “non fare”. Essendo impersonale, non c’è nessuno che fa. Ma è un altro fare, diverso dal nostro, diverso da quello del singolo individuo. Ma anche l’impersonale, nel suo non fare fa, e fa proprio questo: incontra ciò che è autentico e lo porta a termine, lo fa vivere completamente. Questo è l’aspetto impersonale della vita. Cioè la vita matura tutto ciò che è a disposizione, in modo reale, naturale.
D.:Il non fare è solo impersonale?
B.: Sì.
D.:Quindi quando ti trovi nella situazione che hai questo incontro e vedi con chiarezza il movimento di copertura, lì non puoi dire che sei tu che non devi fare.
B.: E’ un fare di nuovo.
D.:Esatto. Devi riuscire a stare con quei movimenti che metti.
B.: Tu non puoi dire, “Bene, io adesso ho fatto il mio, glielo lascio a lui”. No. E’ un’altra forma di fare. Tu devi stare con ciò che sei. Sei pulito, sei a posto, non dici né faccio, né non faccio. Nulla. Oltre al vedere c’è la profondità del vedere. E’ questo che fa la differenza. Vedere sì, vediamo quasi tutto, ma è la profondità che manca. E’ la profondità che ferma, vedere in profondità non è solo vedere. Perché tutti vediamo i nostri difetti, ma non basta. Per “vedere”si intende quella profondità nella quale le cose si fermano.
Ciò che è giusto ha sempre il silenzio di fronte. Se non c’è questo silenzio di fronte, non so se siete ingiusti, ma sicuramente non è finito il lavoro su di sé, non si è a posto e quindi non potete dire nulla, non potete affermare nulla, non potete accusare nessuno, non potete stabilire niente. Ma una volta che siete di fronte all’impersonale allora le cose cambiano. C’è il silenzio, sempre, ovunque, in ogni luogo, in ogni posto, in ogni momento. Restando con il silenzio si impara a stare con il silenzio, restando con se stessi si impara a stare con se stessi. Fino a quando diventa il tuo stato interno sempre presente.
D.:Ma ti isoli anche un po’ quando entri nel silenzio o no?
B.: No.
D.:Ma se sei in un ambiente dove gli altri parlano, il fatto di entrare nel silenzio, cioè lo senti solo perché sei assorto dentro di te?
D.:Non so se ti è mai capitato di parlare con una persona e di sentire il silenzio.
B.: Si. Il silenzio è a 360°, c’è ovunque, quindi ti accorgi e accogli tutto di quello che c’è. Non c’è assolutamente nessun isolamento. Tu sei isolata adesso che senti solo quello che vuoi e come vuoi. Non ci sono luoghi e situazioni che possano condizionare il silenzio. Così non puoi dire “devo essere a casa mia in un angolino”, tranne che all’inizio. L’importante è che non mettiate al silenzio i limiti vostri. Impariamo solo ad avere confidenza con questo silenzio, a viverci assieme e a porre l’attenzione o accoglierlo quando ci visita.
Perché quando siete in confidenza con il silenzio il vostro organismo e la vostra mente sono impregnati di silenzio, il silenzio si presenta autonomamente, altre volte sarete voi a porre l’attenzione perché siete in una situazione difficile. E allora avete la possibilità di essere spostati immediatamente.
D.:Prima si cominciano a fare le aste e le lettere e dopo si comincia a leggere.
B.: Perchè pensate che il mondo sia la vostra vita, i vostri figli, i soldi, le vostre mogli, i vostri amanti e così via. No. L’uomo è quello che si presenta di fronte al silenzio. Quello è l’uomo. Quella è la realtà. Il resto è il “nostro” mondo, singolo e che non ha nessun fondamento perché ci sono sei miliardi di mondi, ma non è vero. C’è un solo mondo.
D.:Fra cinque anni non ci saranno questi sei miliardi di mondi, ma non saranno quelli di adesso.
B.: Ma non sono mondi veri, sono mondi falsi. Non sono mai esistiti. Esistono solo nella testa di ognuno.
D. : Adesso non mi azzarderei a dire che sono falsi.
B.: Io sì, mi azzardo tranquillamente.
D.: E’ inutile che ti dica di sì quando non lo penso.
B.: E allora ...
D.: Un po’ alla volta ti do ragione, un po’ alla volta. Vuoi che ti dia ragione tutto in un momento?
B.: A me non interessa aver ragione.
D.:C’è tanta roba taroccata in giro…
B.: Se volete sapere se una cosa è autentica o no lo sapete solo se di fronte avete questa forza, questo impersonale.
D.:Prima accennavi a una percezione quasi fisica del silenzio.
B.: Non è fisica. Lo senti dappertutto ma va di là dalla fisicità. E’ un sentire che è di là dal tuo organismo.
D.:Quindi tu percepisci che varchi una soglia?
B.: Sì, o, se vuoi, ti ritrai da un eccesso.
D.:Da un sovraccarico di informazioni che hai…
B.: C’è un assestamento, un riflusso interno per cui le cose si ridimensionano. C’è un ridimensionamento della tua presenza. Siccome ridimensioni la tua presenza, si fa’ avanti l’altra presenza.
D.:Che c’è già
B.: Sei in compagnia di più persone e c’è qualcuno che vuole tener banco, occupa lo spazio degli altri. Se lui fa un passetto indietro c’è spazio per tutti, altrimenti la chiusura è condizionante. Così fai un passo indietro per ascoltare, perché a un certo punto ti rendi conto che è giusto che ascolti, perchè c’è altro.
D.:Una curiosità così, molto terra a terra. Quando sei così, in silenzio, comunque sei rilassato, a volte ti capita di percepire che ti fa male, che ne so, ti fanno male alcune zone del tuo corpo. Per esempio ultimamente un osso che neanche immaginavo che potesse star male. Quel sentire cosa rappresenta?
B.: Se sei tranquilla e silenziosa e appare un osso dolorante, stai tranquilla, vedi se il silenzio entra e si fa carico di quest’osso, se non si è fatto carico di quest’osso, è meglio che tu vada dal dottore. Può essere il modo in cui ti segnala qualcosa che tu non sapevi.
D.:Non può essere il segno di un trauma passato o di qualcosa che avrai?
B.:C’è qualcosa di cui tu non eri consapevole, ed è reso evidente. Se se ne fa’ carico lui è finita, altrimenti te ne devi fare carico tu.
D.:Nel momento in cui non sei in silenzio non lo percepisci?
B.: Eh no.
D.:Oppure si può anche fare in modo di fare il contrario? Cioè concentrarsi sul dolore.
B.: Va bene. Questo cosa significa?
D.: Masochismo?
D.: Di superarlo.
D. :Ma penso che il dolore stesso sia parte del silenzio. Non lo decidiamo noi. E’ una cosa impersonale il dolore, sentire il dolore.
B.: Se riesci a vivere questo tuo organismo, vedendo un dolore, è impersonale. Se dici “mi fa’ male, sono stufo, non lo voglio” diventa personale. Non è semplice dire “c’è un dolore” e stare tranquilli.
D.:Mi sembra che un distinguo sul dolore, da quello che mi ricordo che dicevi, è quando si hanno dei dolori e allora con la mente vai a fissarti su quel dolore e lo senti ingrandito.
B.: Si
D.:Io penso che GP volesse dire questo.
B.: Non mi sembra.
GP.: No.
B.: Lui diceva che se non ti identifichi anche il dolore di fatto è una cosa impersonale. Questo stavi dicendo, no?
GP.:Sì.
B.: E allora lo lasci là. Lasci che l’impersonale curi l’impersonale. Se l’impersonale non cura e ti lascia il dolore, vuol dire che è una cosa che va fatta in un altro modo. E’ una cosa nella quale non serve che si attivi l’impersonale.